Qualcosa possiamo ancora imparare

Qualcosa possiamo ancora imparare

In occasione del 7 aprile, giornata mondiale della salute, pubblichiamo una riflessione del Dott. Gaddo Flego, Direttore Sanitario dell’Ospedale Evangelico Internazionale di Genova, che, assieme al Prof. Emilio Di Maria dell’Università di Genova, dal 24 febbraio 2020 segue passo passo la nostra Opera nello sforzo di tutelare ospiti, operatori e volontari dal contagio.

Parlare di salute in questo momento particolare potrebbe essere straordinariamente facile, oppure molto difficile. Facile perché, verrebbe da dire, da un anno a questa parte non si parla d’altro; difficile pertanto non perdersi in chiacchiere.

Il richiamo che gli amici di San Marcellino fanno all’articolo 32 della Costituzione può però aiutarci, spostando l’attenzione dalla salute (cioè il “come stiamo?”, domanda a cui non potremmo che rispondere “non particolarmente bene”) alla tutela della salute come diritto dell’individuo e interesse della collettività. Allora l’argomento diventa, anche nell’attualità, il seguente: a fronte di un attacco alla salute individuale e collettiva, al quale siamo stati e siamo esposti, come ci tutela (e ci ha tutelato) la Repubblica?

Detta così, ci accorgiamo che tutti i discorsi sul virus e le sue varianti, sulla sensibilità e specificità dei tamponi, sull’efficacia e sicurezza dei farmaci e dei vaccini sono certamente interessanti, ma descrivono un contesto che non possiamo modificare, se non attraverso scienza e tecnologia – come dire, al di fuori del nostro discorso. Eppure, sappiamo che buona parte della capacità di un individuo e di una collettività di sopravvivere risiede nella sensibilità al contesto, cioè nella capacità di sentirne i mutamenti e di modificare i propri comportamenti in funzione degli stessi, attraverso quel meccanismo di adattamento insito nell’idea di evoluzione.

Indubbiamente, l’epidemia in cui ci siamo trovati a vivere ha dato pesanti scossoni al Servizio Sanitario Nazionale, scoprendone e lacerandone alcune parti e testando la buona tenuta di altre. Sarebbe a mio parere un errore leggerne l’andamento come risultato della capacità individuale di questo o quel manager o governatore, oppure riferendoci a modelli troppo ampi per spiegare veramente qualcosa, ma sarebbe altrettanto sbagliato non interrogarci su quali elementi del sistema, in senso ampio, integrando nella sanità anche servizi sociali, volontariato, iniziative spontanee, hanno fatto sentire maggiormente alle persone, malate o meno, un’istanza reale di tutela.

Idealmente, mi piacerebbe immaginare una convention, dal basso e inclusiva, sulle buone pratiche reali che si sono sviluppate come reazione alla pandemia, che vada dai piccoli ospedali trasformati in COVID Hospital, ai team domiciliari, a chi è riuscito a organizzare bene le vaccinazioni nei grandi hub così come nei piccoli paesi o nelle RSA, a chi ha garantito comunque accoglienza, con la massima sicurezza possibile, a chi ha continuato gli screeningoncologici o le altre attività essenziali durante la pandemia, a chi ha fatto ricerca utile sul campo o divulgato evidenze. Uscendo, finalmente, dalla retorica dell’uomo solo al comando, per concentrarsi, invece, su tutte quelle persone, organizzazioni e collettività che, in un contesto nuovo, si sono interrogate su come fare a non lasciare nessuno indietro e hanno provato a farlo.

Forse partendo da qui potremo cercare di capire come potrebbe essere un nuovo Servizio Sanitario Nazionale, e come potremmo essere noi, consapevoli che le sofferenze non ci rendono automaticamente persone migliori, ma qualcosa possiamo ancora imparare.



CENTRO DI ASCOLTO

Piazza San Marcellino, 1 - 16124 Genova
T. +39.010.2465400
Aperto lun-mar e gio-ven, dalle 9 alle 12