Portare argomenti

News San Marcellino Genova

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Conversazione con Massimo Morisi

Di Danilo De Luise

 

Il 27 gennaio scorso, in occasione della Giornata della Memoria, San Marcellino ha proposto un insieme di preoccupazioni e spunti di riflessione dal tiolo Per non perdere noi stessi, sui quali oggi torniamo per approfondire il tema dell’argomentare.

Portare argomenti, affrontando temi sociali e pubblici riconoscendo la parzialità delle nostre motivazioni, opinioni o percezioni personali.

 

Orientarsi nel reperire le corrette informazioni e a dare sostanza alle nostre posizioni è ancora possibile?

Noi abbiamo, da molto tempo a questa parte, perso la capacità di argomentare le nostre posizioni. Questa è una questione in parte individuale, in parte legata a un certo narcisismo post-politico. Siamo abituati a confrontarci sulla base di posizioni precostituite pregiudiziali, secondo alcuni critici, ideologiche. Non confrontiamo argomenti.

Gli argomenti sono degli animali un po’ strani, perché l’argomentare significa cercare di motivare le nostre ragioni attraverso dati di fatto di carattere statistico, sociologico o esperienziale. Motivare le ragioni per cui noi riteniamo che una certa scelta di politica pubblica – grande o piccola che sia – vada difesa o sostenuta, è un quindi un esercizio molto importante. Punto decisivo è capire se confrontiamo argomenti o confrontiamo posizioni. Allora il confrontare argomenti richiede una sorta di patto implicito per cui tu sei disposto a cambiare anche radicalmente opinione e visioni se io riesco a convincerti dell’opportunità di cambiare visione e valutazione su un certo fenomeno. Quindi, naturalmente, io devo essere disposto a cambiare visione e valutazione su un certo fenomeno se tu mi convinci dell’opportunità del contrario. Questo è il patto. Se non c’è questo patto, tutto il castello della partecipazione, della democrazia deliberativa crolla e stiamo parlando di aria fritta adeguata a molti convegni accademici in cui in giro per il mondo noi ci cimentiamo immaginando delle magnifiche doti progressive della partecipazione in alternativa o a integrazione della rappresentanza politica, ma non ne usciamo; siamo sempre fermi.

È sempre più evidente una certa banalizzazione nelle questioni politiche e sociali sulle quali ci si confronta pubblicamente. Penso ad esempio al tema dei migranti o della sicurezza del territorio, che vengono proposti dai mezzi di informazione con una confusione di fondo tra posizioni, argomenti, opinioni. Secondo te ci sono dei paletti che possano aiutare da un lato chi si occupa della cosa pubblica a stare dentro una prassi di buona amministrazione e, dall’altra parte, possano aiutare i cittadini a comprendere se ciò che viene proposto è affrontato seriamente?

L’Etica della responsabilità è una questione antichissima che mi me sembra assolutamente centrale. Ma cosa c’è dentro la responsabilità? Come la definiamo? Questa è una variabile molto rilevante. Mi permetto però di sottolineare che abbiamo un insieme di antiche e nuove patologie sociali, sottolineo la parola patologie e la parola sociali, che richiedono una capacità di innovazione di politiche pubbliche molto importanti. Faccio un esempio per farmi capire: il centro storico di Genova che cos’è? È un luogo di marginalità sociale? È un luogo di gentrification, come dicono gli urbanisti con la farfalla al colletto? È un misto di queste cose? Fa parte del folklore? Fa parte dell’innovazione sociale? Fa parte della capacità di accoglienza? Fa parte, invece, della marginalizzazione dell’accoglienza? Io nel centro storico di Genova, che dopo Firenze, insieme a Bologna, forse è una delle città che amo di più in assoluto, trovo di tutto. Trovo assolutamente di tutto. Allora la domanda è: di fronte a questo “di tutto”, che cosa analizziamo e che cosa proponiamo? E in che modi lo analizziamo e in che modi lo proponiamo? Ho l’impressione che un attore che si proponga come attore riflessivo, di mobilitazione culturale, di mobilitazione conoscitiva, dovrebbe misurarsi con sfide complicatissime, ma di questo genere. Perché non lo fa nessuno. Non lo fanno i partiti politici, che non ci sono più, sia quelli vecchi che quelli nuovi. Non lo fanno le associazioni di categoria che, ovviamente, tutelano gli interessi corporati. Non lo fanno le associazioni di volontariato, perché ovviamente e giustamente si preoccupano di situazioni e di casi che esprimono patologie molto specifiche. Invece un grande dibattito pubblico sul destino del centro storico di Genova, io credo che, dopo Renzo Piano e tutto ciò che è successo, sarebbe di grandissima importanza e rinnoverebbe la percezione collettiva di cosa significa democrazia e cosa significa anche mediazione tra le posizioni democraticamente formulate.

 

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Massimo Morisi è Presidente del Corso di Studi in Scienze Politiche e Ordinario di Scienza dell’Amministrazione presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Firenze

 

Scarica il testo completo dell’intervista

 Ascolta la registrazione audio – 1 parte

Ascolta la registrazione audio – 2 parte

Portare argomenti è la prima di un ciclo di riflessioni che proseguiranno nelle prossime settimane. Eccone il filo conduttore.

 

Portare argomenti, affrontando temi sociali e pubblici riconoscendo la parzialità delle nostre motivazioni, opinioni o percezioni personali.

Contrastare la nostra ignoranza, concedendoci il tempo di conoscere e far conoscere i temi che ci stanno a cuore.

Prestare attenzione ai contenuti, riconoscendo le forme di mistificazione che possono nascondersi dietro una efficace abilità di comunicazione.

Comprendere la complessità andando oltre le generalizzazioni, attraverso l’informazione, l’attenzione e l’empatia.

Non confondere la filantropia con il riconoscimento dei diritti, tenendo ben distinto il sentimento di solidarietà dagli strumenti necessari a ottemperare ai Principi costituzionali.

Non tirare nel mucchio. A partire dai discorsi e dai facili bersagli che affollano ogni canale di comunicazione, siamo chiamati a contrastare una tendenza culturale che oggi rappresenta il terreno sempre più fertile per forme di violenza che vanno ben al di là delle parole.

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