Norberto Bobbio – 25 aprile 1957

Norberto Bobbio – 25 aprile 1957

In questo 25 aprile 2020, segnato dal confinamento e dalle misure restrittive per la libertà di movimento conseguenti all’emergenza, proponiamo il discorso di Norberto Bobbio pronunciato a Torino, in piazza San Carlo, il 25 aprile 1957 e pubblicato nel libro Eravamo diventati uomini (Impagliazzo, P. e Polito, P., Einaudi, Torino, 2015) con il titolo:

Cittadini torinesi, uomini e donne della Resistenza

“[…] Non c’è documento partigiano che non rechi traccia della fede in questi tre ideali della pace tra le nazioni, della libertà personale, della giustizia sociale. Coloro che hanno partecipato alla Resistenza si riconoscono tra loro e si distinguono non solo dagli indifferenti per l’entusiasmo morale con cui hanno accettato di correre il rischio supremo per difendere valori ideali, ma si riconoscono tra loro e si distinguono dagli avversari per i valori che hanno difeso, cioè per la fede che essi hanno riposto nella interdipendenza e nella solidarietà dei tre valori della pace, della libertà e della giustizia  contro i mali della guerra, dell’oppressione e del privilegio.Qui bisogna cercare lo spirito della Resistenza. E questo spirito è stato consacrato, o cittadini, nella Costituzione; e dunque è diventato, piaccia o non piaccia, lo spirito della nazione. La nostra Costituzione è nata da un compromesso, talora faticoso, tra forze politiche diverse. Ma nessun compromesso è possibile quando non vi sia un accordo su alcuni principi. E questi principi sui quali poggia la norma fondamentale della nostra esistenza come nazione sono affermati in alcuni articoli che tutti gli italiani, e soprattutto i giovani, dovrebbero conoscere ed elevare a regola di condotta. L’ideale di pace. Articolo 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. L’ideale della libertà personale. Articolo 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti fondamentali dell’uomo, sia come singolo , sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. L’ideale della giustizia. Articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Sappiamo bene che i principi non basta proclamarli, bisogna tradurli in pratica. E sappiamo anche che la nostra Costituzione, così come è stata concepita dagli stessi costituenti, e così come è stata interpretata dagli organi a cui essa ha dato vita, è più un programma politico che un insieme di norme immediatamente efficaci, è più una promessa di disciplina giuridica che una disciplina attuata. E le promesse non valgono nulla, sono parole ingannatrici, se non vengono mantenute. Orbene, dipende ancora una volta dalla continuità dello spirito della Resistenza, dalla forza della passione morale che ci ha uniti per ridare all’Italia un assetto degno di una nazione civile, se la Costituzione sarà una realtà viva nella nostra storia o un pezzo di carta da mettere in archivio. Resistenza e Costituzione sono due momenti indissolubili della stessa vicenda, della storia d’Italia rinata dopo il fascismo e la guerra. Dove cade l’una, cade anche l’altra. Dove la prima si rinvigorisce, anche la seconda si rafforza e si compie. Quando tra alcuni mesi la Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, compirà i dieci anni di vita, bisognerà chiedere che non si faccia una celebrazione, ma un bilancio. E il bilancio della Costituzione non si potrà fare se non si farà insieme il bilancio dello spirito della Resistenza.

Sento attorno a me le solite obiezioni. Esiste ancora lo spirito della Resistenza? E se esiste, non è esso alimentato da pochi e sparuti fedeli che sono una piccolissima minoranza di pazzi in una nazione di savi? E infine, fossero pur molti i fedeli, non è la situazione di oggi tanto mutata da quella in cui la Resistenza operò, che è assurdo e inutile, pretendere di tramandarne lo spirito? Rispondiamo.

Primo: lo spirito della Resistenza non è morto. È morto in coloro che non l’hanno mai avuto e a cui del resto non lo abbiamo mai attribuito. Che non sia morto è dimostrato dal fatto che non vi è grave evento della nostra vita nazionale in cui non si sia fatto sentire ora per elevare una protesta, ora per esprimere un ammonimento, ora per indicare la giusta strada della libertà e della giustizia.

Secondo: che i devoti dello spirito della Resistenza fossero una minoranza, lo abbiamo sempre saputo e non ce ne siamo né spaventati né meravigliati. In ogni nazione i savi, cioè i benpensanti, sono sempre la maggioranza; i pazzi, cioè gli ardimentosi, sono sempre la minoranza. Come al teatro: quattro attori in scena e mille spettatori in platea, i quali non recitano né la parte principale né quella secondaria; si accontentano di assistere allo spettacolo per vedere come va a finire e applaudono il vincitore.

Terzo: sì, la situazione è cambiata, non c’è più la guerra, lo straniero in casa, il terrore nazista. Ma quando invochiamo lo spirito della Resistenza, non esaltiamo soltanto il valore militare, le virtù del soldato che si esplica nella guerra combattuta, ma anche il valore civile, le virtù del cittadino di cui una nazione per mantenersi libera e giusta ha bisogno tutti i giorni, quella virtù civile che è fatta di coraggio, di prodezza, di spirito intrepido, ma anche, e più, di fierezza, di fermezza nel carattere, di perseveranza nei propositi, di inflessibilità. Ciò che ha caratterizzato il partigiano è stata la sua figura di cittadino e insieme di soldato, una virtù militare sorretta e protetta da una virtù civile. Non vi è nazione che possa reggere senza la virtù civile dei propri cittadini. Ebbene l’ultima rivelazione di questa virtù è stata la lotta partigiana. Lì la nazione deve attingere i suoi esempi, lì deve specchiarsi, lì troverà e lì soltanto, le ragioni della sua dignità, la consapevolezza della propria unità, la sicurezza del proprio destino”.

 



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