Nina

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Covid-19: testimonianze dai servizi

Pubblichiamo un estratto dal nostro Giornalino di questo mese, in cui Simona, operatrice di San Marcellino, ci regala un’altra testimonianza della sua esperienza presso la nuova struttura temporanea di emergenza ACCA24, in Piazza Bandiera.

Nina

Nina (nome di fantasia) cammina avanti e indietro sul marciapiede antistante il portone della struttura Acca24, misurando l’asfalto con lunghi passi cadenzati da una lieve zoppia. Affacciata alla finestra del primo piano, osservo muoversi la sua figura esile: il corpo magro, i capelli arruffati, gli abiti bizzarri e le dita nodose, macchiate di pittura e attorcigliate attorno ad una sigaretta spenta.
Ci scommetterei: il collega che ha coperto il turno della mattina, al quale ho dato il cambio qualche ora fa, si è affacciato a questa stessa finestra per tenere d’occhio dall’alto una situazione del tutto simile a questa: la nostra Nina che esce furtivamente dal portone, lasciandolo socchiuso per fare meno rumore e per poter rientrare senza dover suonare il campanello, e poi inizia a percorrere i pochi metri della sua infinita processione. Mi sembra quasi di sentire il sospiro rassegnato del collega nel sentire, per l’ennesima volta, lo scricchiolio del portone che si apre.

Ma questa volta c’è un colpo di scena. Abbandono la finestra e affronto di corsa i pochi gradini che mi separano dal piano terra, spalancando il portone giusto in tempo per trovarmi faccia a faccia con i due uomini in divisa che ho visto avvicinarsi dall’altro lato della piazza. “Buongiorno!”, ansimo, “sono un’operatrice dell’Associazione San Marcellino, ci occupiamo di persone senza dimora, questa è una delle nostre strutture. La signora stava appunto rientrando dentro. Vero, Nina?”. È difficile decifrare lo sguardo degli agenti sopra alle mascherine protettive che indossano: mi sembra di vedere sul viso del più alto dei due un paio di occhi leggermente strizzati, a rivelare un sorriso. Nel frattempo, fortunatamente, Nina rientra dentro, sgusciando in silenzio tra il mio corpo e il portone, con buona pace delle norme di distanziamento sociale.

“Buongiorno. Conosciamo la vostra struttura, ci hanno chiamati per venire a verificare che cosa stesse succedendo: ci hanno segnalato una situazione di assembramento”. Non mi ero sbagliata: il tono dell’agente è pacato e cortese, anche quando si rivolge direttamente a Nina. “Signora, mi raccomando. Rientri dentro e ascolti quello che le dice la signorina, altrimenti ci tocca intervenire di nuovo, e di certo saremo meno gentili di lei!”. Non credo che Nina abbia sentito: sento i suoi passi che già salgono i gradini. Scambio un rapido saluto con gli agenti, poi chiudo il portone e mi avvio dietro di lei, chiedendomi se abbia senso cercare di parlare con lei dell’accaduto.

Le abbiamo spiegato più di una volta che non può uscire dalla struttura senza “comprovate ragioni”, ma per quanto si sia sforzata, di buone motivazioni lei non ne ha proprio trovate: non ha denaro che le dia una scusa per mettersi in fila al supermercato, certamente non ha un datore di lavoro che la attende, o magari delle medicine da acquistare; a dirla tutta, non ha neppure un medico di base che gliele potrebbe prescrivere. Quattro passi e qualche tiro ad una sigaretta, girata con tabacco di recupero e ormai spenta, sono l’unica giustificazione alla sua piccola fuga da se stessa.



CENTRO DI ASCOLTO

Piazza San Marcellino, 1 - 16124 Genova
T. +39.010.2465400
Aperto lun-mar e gio-ven, dalle 9 alle 12