Il diritto di esistere

Il diritto di esistere

Dopo il post del 10 settembre scorso, diverse persone ci hanno chiesto di saperne di più circa l’interruzione della attestazione della condizione di senza dimora a fini dell’ottenimento della residenza anagrafica presso Via alla Casa Comunale.

Ci rendiamo conto che la vicenda possa chiamare in causa il collega interessato dai provvedimenti giudiziari, ma vorremmo, comunque, puntare i riflettori sull’esercizio del diritto di residenza e, a tale scopo, tenteremo di spiegare la vicenda.

Il 10 gennaio 2019 una persona, che fruisce di alcuni dei nostri servizi dal 2016 e, priva di documenti di cui aveva denunciato lo smarrimento nell’agosto del 2018, allo scopo di richiedere la residenza anagrafica, ci chiese una lettera che attestasse che era conosciuta da noi, come richiesto dagli Uffici Comunali allo scopo di riscontrare la condizione di senza dimora.

Il collega scrisse a mano poche righe indirizzate all’Ufficio Anagrafe dove dichiarava che conosciamo la persona e ne indicava le generalità che questa ci aveva comunicato a suo tempo, dimenticando di inserire la parola magica “sedicente”.

Nell’aprile scorso, a valle di un controllo dell’Anagrafe presso il dichiarato Comune di nascita, emergeva l’inesistenza delle generalità fornite dall’interessata, il collega veniva chiamato in causa e, nell’agosto scorso, ha ricevuto la richiesta di rinvio a giudizio assieme ai due testimoni presenti all’atto della richiesta del rilascio della carta di identità.

Questi, in sintesi, i fatti che non spetta a noi giudicare nello specifico, ma da cui possiamo far discendere alcune considerazioni generali.

Del diritto alla residenza e della sua importanza fondamentale negli interventi di contrasto alla grave marginalità, tratta esaurientemente il capitolo 2.2 delle Linee di indirizzo per il contrasto alla grave marginalità adulta in Italia (Ministero del lavoro e delle politiche sociali, 2015, p.p. 45-47), pertanto non approfondiamo in questa sede. Ci limitiamo, quindi, a riprendere il primo paragrafo del Vademecum Residenza per i Senza Dimora, 8 maggio 2020, pubblicato sul sito di FIO.PSD (Federazione Italiana Organismi Persone Senza Dimora) che ci pare un utile spunto di riflessione oltre a rappresentare, per noi, uno dei punti di vista principali da cui inquadrare la vicenda:

La Residenza e l’iscrizione anagrafica rappresentano per ogni cittadino la certificazione di “esistere”, di essere portatori di diritti soggettivi fondamentali e di avere la garanzia di poterli esercitare. Per le persone senza dimora, la residenza anagrafica rappresenta un passo ancora più importante, perché ad essa si collega la possibilità di usufruire dei servizi sanitari, socio-assistenziali e abitativi, erogati dagli enti locali.

Si tratta di esercitare, quindi, il diritto di esistere che dà accesso all’esercizio di tutta una serie di altri diritti sanciti dalla nostra Costituzione e a cose apparentemente semplici, come ricevere la posta, la tessera elettorale, il rinnovo della patente, la nuova tessera sanitaria etc..

Possiamo comprendere, perciò, quanto complessa, delicata e importante sia la questione.

Siamo consapevoli che, per le Istituzioni, è tutt’altro che semplice garantire l’esercizio del diritto di residenza a persone prive di documenti, a volte confuse, con difficolta di relazione con gli altri e/o con la cosiddetta realtà, con comportamenti di dipendenza o quant’altro, ma è uno sforzo che va fatto.

Abbiamo il dovere di non penalizzare le persone più fragili anche a fronte di correre il rischio che qualcuno faccia un uso distorto delle norme.

Tuttavia riteniamo che non ci si possa limitare alla richiesta alle Associazioni, da parte degli Uffici Comunali, di fornire una dichiarazione, sia essa di condizione di persona senza dimora o dell’utilizzo dei servizi a esse dedicate.

Ciò significa scaricare, ingiustificatamente, sugli operatori delle responsabilità non di loro stretta competenza, atteso il fatto che l’allocuzione “sedicente” in nulla modifica o annulla i controlli che necessariamente devono essere svolti dalle Autorità preposte, a fronte di iscrizioni anagrafiche che vengono richieste.

Significa mettere le Associazioni di fronte alla scelta di abbandonare una persona a se stessa o, per accompagnarla all’esercizio di un proprio diritto, assumersi dei rischi, anzi: mettere direttamente gli operatori di fronte a questa scelta.

Fino a oggi abbiamo percorso la seconda strada, ma non ci pare sia servito ai fini della garanzia di esercitare questo diritto.

Abbiamo così deciso, non senza preoccupazione, di interrompere questo servizio, non per abbandonare le persone, ma per cercare di sollevare il problema nella speranza di contribuire a migliorare l’applicazione dell’Articolo 3 della nostra Costituzione.



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