Il sogno della fraternità

Il sogno della fraternità

In occasione della Giornata della Giustizia Sociale pubblichiamo un estratto dell’articolo di p. Giacomo Costa s.j. sull’Enciclica Fratelli tutti, pubblicato su Aggiornamenti Sociali https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/il-sogno-della-fraternita/

C’è il desiderio di condividere un sogno alla radice dell’enciclica Fratelli tutti (FT): «un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole» (n. 6), un sogno da fare insieme «come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!» (n. 8). Quella del sogno è una categoria molto cara a papa Francesco. Non si tratta certo dell’evasione che fa perdere il contatto con la realtà della vita quotidiana, ma della visione capace di orientare, di indicare la direzione di marcia, di spingere al cambiamento.

Il sogno della fraternità

Quello di una società fraterna è un sogno antico, rintracciato anche nel messaggio di Francesco di Assisi, chiamato «padre fecondo» (n. 4) proprio per averlo saputo suscitare, ma finora esso è andato in frantumi. Tuttavia è un sogno troppo prezioso per rinunciarvi. Per questo il punto di arrivo dell’enciclica è la riproposizione dell’appello alla pace, alla giustizia e alla fraternità con cui si apre il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi insieme a Ahmad al-Tayyib, Grande Imam di Al-Azhar, la moschea-università del Cairo. Quel Documento è una delle sorgenti di FT, ma soprattutto il Grande Imam ne è l’interlocutore privilegiato, più volte e ampiamente citato. […]

I tre passi dell’enciclica

La fratellanza è un tema classico dell’immaginario cattolico e della predicazione della Chiesa, su cui non mancano certo i contributi. Prestare attenzione ai passi con cui papa Francesco scandisce il suo discorso ne mette in luce gli elementi di originalità. In particolare il testo scandisce tre passaggi, che conducono alla formulazione dell’appello finale: 1) la presa di coscienza dell’urgenza della fraternità a partire dalla realtà in cui viviamo; 2) un approfondimento dell’analisi che fa emergere motivazioni e ostacoli su un piano più fondamentale; 3) l’identificazione di piste concrete lungo cui il Papa invita tutti gli uomini e le donne di buona volontà, a partire dai membri della Chiesa, a muoversi per concretizzare l’orizzonte della fratellanza e dell’amicizia sociale.
Non si fatica a riconoscere in questa struttura lo schema “riconoscere – interpretare – scegliere” che l’esortazione apostolica Evangelii gaudium (2013) propone come traccia dei processi di discernimento […]

L’urgenza della fraternità

Il punto di partenza è la coscienza del paradosso della nostra epoca, che a una crescente globalizzazione fa corrispondere una frammentazione e un isolamento altrettanto elevati: «Malgrado si sia iper-connessi, si è verificata una frammentazione che ha reso più difficile risolvere i problemi che ci toccano tutti» (n. 7). Lo scoppio della pandemia da COVID-19, intervenuto mentre era in corso la stesura di FT, non ha fatto che rendere questo paradosso ancora più evidente. Si tratta di una dinamica che attraversa tutte le dimensioni della vita sociale: «I conflitti locali e il disinteresse per il bene comune vengono strumentalizzati dall’economia globale per imporre un modello culturale unico. Tale cultura unifica il mondo ma divide le persone e le nazioni, perché “la società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli”. […]
Non si tratta di una lettura ideologica della realtà, ma di uno scandaglio attento e radicale: «Occorre cercare di identificare bene i problemi che una società attraversa per accettare che esistano diversi modi di guardare le difficoltà e di risolverle» (n. 228). Tuttavia il passo del “riconoscere” non va confuso con una analisi puramente tecnica, che potrebbe persino essere “appaltata” a un’agenzia esterna. Si tratta invece di una operazione più complessa, che coinvolge varie fonti, ma soprattutto chiama in causa l’interiorità e la fede di chi la compie. Oltre ai dati di realtà, entra in gioco una pluralità di riferimenti, a partire dalla Parola di Dio e dalla tradizione della Chiesa.
Per questo, nel cap. 2 papa Francesco propone di prendere come riferimento la parabola del buon samaritano, con l’intento «di cercare una luce in mezzo a ciò che stiamo vivendo, e prima di impostare alcune linee di azione» (n. 56). È un’icona illuminante, capace di mettere in evidenza l’opzione di fondo che siamo a chiamati a compiere ogni giorno: di fronte alla parabola, «le nostre molteplici maschere, le nostre etichette e i nostri travestimenti cadono: è l’ora della verità. Ci chineremo per toccare e curare le ferite degli altri? Ci chineremo per caricarci sulle spalle gli uni gli altri? Questa è la sfida attuale, di cui non dobbiamo avere paura. Nei momenti di crisi la scelta diventa incalzante: potremmo dire che, in questo momento, chiunque non è brigante e chiunque non passa a distanza, o è ferito o sta portando sulle sue spalle qualche ferito» (n. 70). La Parola di Dio non contiene istruzioni pratiche da applicare, ma interrogativi capaci di mettere a nudo l’orientamento del nostro cammino e di spingerci a modificarlo.

La legge dell’amore e il valore della dignità

«Aperto», termine che compare nel titolo dei capp. 3 e 4, marca il secondo passaggio, contraddistinto dal verbo “interpretare”. È una fase indispensabile, ma delicata, perché esposta a inganni, illusioni e seduzioni di varia origine, così come all’incertezza e allo scoraggiamento. Per questo viene subito richiamata la dinamica umana fondamentale, quella dell’amore che spinge a uscire da sé e che rappresenta quindi la chiave interpretativa fondamentale. L’amore: «crea legami e allarga l’esistenza quando fa uscire la persona da sé stessa verso l’altro. Siamo fatti per l’amore e c’è in ognuno di noi “una specie di legge di ‘estasi’: uscire da se stessi per trovare negli altri un accrescimento di essere”» (n. 88). Ma amare implica «qualcosa di più che una serie di azioni benefiche. Le azioni derivano da un’unione che inclina sempre più verso l’altro considerandolo prezioso, degno, gradito e bello, al di là delle apparenze fisiche o morali» (n. 94). È questa la base su cui è possibile costruire un’amicizia sociale che non esclude nessuno e una fraternità aperta a tutti. […]
La chiave di volta per passare dalla chiusura all’apertura è «un riconoscimento basilare, essenziale da compiere per camminare verso l’amicizia sociale e la fraternità universale: rendersi conto di quanto vale un essere umano, quanto vale una persona, sempre e in qualunque circostanza» (n. 106). Al cuore di FT c’è infatti il riconoscimento della dignità inalienabile di ogni essere umano. Sul piano delle idee ne siamo tutti convinti, ma quando questa consapevolezza scende sul piano della concretezza, «ci pone una serie di sfide che ci smuovono, ci obbligano ad assumere nuove prospettive e a sviluppare nuove risposte» (n. 128). […]

Scegliere la fraternità

Riconoscere la situazione che stiamo vivendo e chiarire i riferimenti con cui interpretarla aprono al passo dello “scegliere”, cioè all’identificazione degli ambiti in cui giocare l’impegno per costruire la fraternità e l’amicizia sociale. A questo sono dedicati gli ultimi quattro capitoli di FT.
In particolare, il cap. 5 affronta l’impegno della politica, chiarendo fin da subito l’approccio che propone: «Per rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a partire da popoli e nazioni che vivano l’amicizia sociale, è necessaria la migliore politica, posta al servizio del vero bene comune. Purtroppo, invece, la politica oggi spesso assume forme che ostacolano il cammino verso un mondo diverso» (n. 154). […]
Il cap. 6 offre spunti sul dialogo, tema da sempre caro a papa Francesco: «Non c’è bisogno di dire a che serve il dialogo. Mi basta pensare che cosa sarebbe il mondo senza il dialogo paziente di tante persone generose che hanno tenuto unite famiglie e comunità. Il dialogo perseverante e coraggioso non fa notizia come gli scontri e i conflitti, eppure aiuta discretamente il mondo a vivere meglio, molto più di quanto possiamo rendercene conto» (n. 198). […]
Il cap. 7, intitolato «Percorsi di un nuovo inizio», affronta una questione particolarmente spinosa: che cosa significa operare per risolvere e superare i conflitti, come è necessario fare nella prospettiva della pace e dell’amicizia sociale, senza negare la verità delle cause che li hanno scatenati e soprattutto degli effetti che hanno prodotto, il che comporterebbe una ulteriore violazione della dignità delle vittime? Il dialogo è chiamato a farsi strumento di riconciliazione, che non può omettere la ricerca della verità: «Verità è raccontare alle famiglie distrutte dal dolore quello che è successo ai loro parenti scomparsi. Verità è confessare che cosa è successo ai minori reclutati dagli operatori di violenza. Verità è riconoscere il dolore delle donne vittime di violenza e di abusi. […]
Infine, il cap. 8, che culmina con l’appello «alla pace, alla giustizia e alla fraternità» (n. 285) che riprende il documento di Abu Dhabi, riflette sul compito delle religioni a servizio della fraternità nel mondo, cioè sul ruolo insostituibile che possono ricoprire anche all’interno di società pluraliste e secolarizzate: «A partire dalla nostra esperienza di fede e dalla sapienza che si è andata accumulando nel corso dei secoli, imparando anche da molte nostre debolezze e cadute, come credenti delle diverse religioni sappiamo che rendere presente Dio è un bene per le nostre società. Cercare Dio con cuore sincero, purché non lo offuschiamo con i nostri interessi ideologici o strumentali, ci aiuta a riconoscerci compagni di strada, veramente fratelli» (n. 274).

L’ultima parola: la preghiera

L’ultima parola è l’invito alla preghiera, cioè l’invito ai credenti di mettersi all’opera per la fraternità e l’amicizia sociale in modo autenticamente religioso. La preghiera non è infatti una rinuncia alle proprie responsabilità, ma l’apertura nel cuore di ciascun credente di uno spazio di incontro con l’Alterità più radicale, quella di Dio. Sarà questo spazio a diventare la scuola per il rapporto con ogni altra alterità nelle dinamiche interpersonali e nella vita politica e sociale, e soprattutto a fornire i criteri di verifica della bontà della direzione in cui si cammina per costruire la fraternità. Il ruolo delle religioni come catalizzatori di dialogo e di concordia nella società non può fare a meno di questa radice autenticamente mistica.

Giacomo Costa SJ,
direttore di Aggiornamenti Sociali



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