Fermiamoci a pensare

Fermiamoci a pensare

In questa giornata, 27 gennaio 2019, dedicata alla memoria delle vittime dell’Olocausto ci interroghiamo su come l’esperienza del recente passato possa aiutarci a restare vigili e a interpretare il nostro quotidiano.

Nel suo libro La Banalità del Male. Heichmann a Gerusalemme, Hannah Arendt sottolinea come l’incapacità di pensare comporti “una quasi totale incapacità di vedere le cose dal punto di vista degli altri”.

Si riferisce al pensiero in senso maieutico. In un passaggio del suo libro Responsabilità e giudizio lo spiega come “l’abitudine di esaminare e riflettere su tutto ciò che accade, a prescindere dai contenuti e dagli effetti dell’evento,” e si chiede: “quest’attività può forse essere di natura tale da ‘condizionare’ gli uomini e prevenirli dal fare il male?”

L’idea che il pensiero ci consenta di entrare in una relazione intima con noi stessi, di metterci nei panni degli altri e aumentare la nostra coscienza e capacità di guardare all’alterità come a una parte di noi con cui riconciliarci anche rinunciando a un po’ della nostra individualità diviene, qui, strumento privilegiato per prevenire azioni malvagie.

In The Jewish Writing, poi, Hannah Arendt aggiunge una chiave di lettura che a noi pare di assoluta modernità e contemporaneità nell’aiutarci a guardare il nostro quotidiano: “… il male non è radicale, andando alle radici (radix), non ha profondità, ed è proprio per questa ragione che è così tremendamente difficile pensarlo, dal momento che il pensare, per definizione, vuole raggiungere le radici. Il male è un fenomeno di superficie, e, invece di essere radicale, è semplicemente estremo. Noi resistiamo al male non venendo spazzati via dalla superficie delle cose, ma fermandoci e cominciando a pensare – cioè raggiungendo una dimensione altra rispetto all’orizzonte della vita quotidiana. In altri termini, quanto più una persona è superficiale, tanto più sarà probabile che ceda al male. Un indice di questa superficialità è l’uso dei clichés, e Eichmann – lo sa Dio – ne era un esempio perfetto.”

Clichés, una parola antica che a molti di noi ricorderà l’infanzia. Oggi potremmo tradurla con: luoghi comuni, stereotipi, micro interpretazioni banali e preconfezionate della realtà racchiuse in 140 caratteri o in qualche forma “da vedere”.

Un’altra frase della filosofa che ha accompagnato questo nostro piccolo contributo, ancora tratta da Responsabilità e giudizio, ci ricorda quasi come un monito che “I migliori tra tutti sono quanti hanno una sola certezza: qualunque cosa accada, finché vivremo, dovremo continuare a convivere con noi stessi”.

Un motivo in più per fermarsi a pensare.

Padre Nicola Gay S.J.

Danilo De Luise



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