Giornalisti a San Marcellino

Giornalisti a San Marcellino

 

Barboni. Senza tetto, Senza fissa dimora. Fate voi, le definizioni giornalistiche si sprecano anche quando articoli, servizi, inchieste sono animati dalle migliori intenzioni. E non c’è né il vizio del pregiudizio, né di un buonismo un po’ peloso che serve per mettersi in pace con l’anima e con la propria deontologia professionale.

Senza tetto, in senso classico, certo. Ma non senza diritti e, comunque, soprattutto, persone. Con le loro storie, la loro dignità, le loro contraddizioni, i loro valori. Appunto, persone.

È stato questo (non solo questo) il senso degli incontri realizzati con San Marcellino per la formazione/aggiornamento professionale e deontologico dei giornalisti genovesi e liguri, realizzati con l’Ordine dei Giornalisti della Liguria e il settore formazione.

Un’idea proposta da un collega, Pietro Barabino, sviluppata con Danilo De Luise e Juan Pablo Santi. Un’idea geniale nella sua semplicità e nella sua dirompenza perché ha ribaltato un po’ il sistema e il rapporto. Perché i due gruppi di giornalisti che hanno seguito questa prima esperienza, hanno applicato il vecchio detto del cronista (mutuato da un altrettanto vecchio proverbio): “se non si va, non si vede”. Il “si va” è stato il campo di azione di San Marcellino. E così si “è visto” il metodo, l’azione, il rapporto, la formazione dei volontari che non sono una mano d’opera a basso prezzo, ma volontari veri e preparati e il ruolo degli operatori, “professionisti” del settore. Il loro modo di agire non è certamente quello di un distaccato dipendente, ma gli operatori sono fondamentali. Diversamente il sistema non starebbe in piedi, perché servono competenze, non solo un cuore grande così. E il metodo San Marcellino, fatta salva la positività e specificità di altre esperienze (grandi e piccole) presenti a Genova, per molti dei giornalisti ha rappresentato una novità, una conoscenza diversa. Perché “se non si va, non si vede” ha consentito di confrontarsi, di capire, di cogliere anche qualche notizia nuova evitando speriamo – in futuro – errori e definizioni superficiali.

Soprattutto (oltre ai luoghi) ha colpito i giornalisti partecipanti il “metodo” San Marcellino. Il modo di strutturare l’intervento, il rapporto e l’approccio con le persone. La razionalità, intelligente, di non affastellare diversità e problemi anche legati a provenienze e culture diverse. Un prima gli italiani anche nel mondo dell’aiuto? No, assolutamente. Un modo concreto di sapere, nel caso, indirizzare nel posto e nell’intervento giusto perché creare tensioni o scontri tra chi cerca di affermare la propria dignità calpestata sarebbe sbagliato. Un modo concreto di affrontare (e anche scontrarsi) con i problemi. San Marcellino ha un’impronta gesuita nella migliore accezione del termine. Alcuni giornalisti hanno scoperto (o riscoperto) come San Marcellino abbia in passato formato e aggiornato operatori della polizia municipale, spesso primo contatto “istituzionale” di chi noi definiamo senza tetto, barbone. Una formazione oggi un po’ decaduta visto che è ormai quotidiano vedere le scelte diverse operate dall’amministrazione comunale: tre “cantuné” vestiti con mimetica blu modello reparto mobile, più uno in borghese a identificare un mendicante, un venditore ambulante, sanzionarlo magari per qualche centinaio di euro con un inutile e costoso (per la pubblica amministrazione) “verbale” che quella persona non potrà mai pagare. San Marcellino affonda le sue radici nel periodo bellico, nel dopo guerra, nel boom economico delle migrazioni questa volta non più verso le “Americhe”, ma interne. Affonda le radici in quell’impatto che, mediaticamente e nel costume corrente dell’epoca (ricorrente oggi nel becerume da stadio e non solo) era definito come “terroni”.

“Se non si va, non si vede”. Le due esperienze con San Marcellino hanno confermato e ribadito un concetto cardine per i giornalisti: non dare mai nulla per scontato. Per dirla alla ligure, San Marcellino è un po’ “rugginosa” ovvero (a mio giudizio) non nasconde la propria positiva spigolosità che non è supponenza. Per molti giornalisti è stata una scoperta o riscoperta visto che San Marcellino non cura (meglio, non ha curato) troppo la propria immagine preferendo fare parlare il proprio lavoro. Senza usare volti o immagini delle persone del “loro” mondo come testimonial. Ora come giornalisti, almeno quelli che hanno partecipato ai due primi incontri, ne sanno e sappiamo qualcosa di più. Del resto, come avrebbe detto don Milani, cosa serve avere le mani pulite se poi le teniamo in tasca? Meglio sporcarsele nel quotidiano anche con un “se non si va, non si vede”.

 

Marcello Zinola, responsabile della formazione dell’Ordine dei Giornalisti della Liguria.

 



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