Filantropia e diritti

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Filantropia e diritti

Il 27 gennaio scorso, in occasione della Giornata della Memoria, San Marcellino ha proposto un insieme di preoccupazioni e spunti di riflessione dal titolo Per non perdere noi stessi, sui quali oggi torniamo per approfondire il tema Non confondere la filantropia con il riconoscimento dei diritti.

Non confondere la filantropia con il riconoscimento dei diritti, tenendo ben distinto il sentimento di solidarietà dagli strumenti necessari a ottemperare ai Principi costituzionali.

 

Di Adriano Patti, magistrato

 

Viviamo oggi in una società complessa, nel senso spesso di faticosa complicazione di ogni più banale operazione e che disorienta tanti, soprattutto le persone più semplici e meno dotate di mezzi e di risorse. Una società che si fonda su un modello che acuisce in modo intollerabile la disuguaglianza, in costante crescita esponenziale: l’ultimo rapporto Oxfam (Ong britannica che studia l’economia sociale) segnala la detenzione dall’1% della popolazione mondiale dell’82% della ricchezza globale e un incremento annuale di 762 miliardi USD della sua ricchezza (dati 2017), pari a 7 volte l’ammontare delle risorse necessarie a far uscire dalla povertà 789 milioni di persone, con una crescita media annuale (nel periodo 2006 – 2015) del reddito dei miliardari in misura del 13%, a fronte del 2% del reddito dei lavoratori (Oxfam International, Ricompensare il lavoro, non la ricchezza. Rapporto 2018, https://www.oxfamitalia.org/wp-content/oploads/2018/01/Rapporto-Davos-2018). Appare vergognosamente evidente come pochi privino i più delle elementari risorse materiali per la mera sopravvivenza e dei diritti che ne costituiscono la dignità di persone.

Questa complessità potrebbe essere invece interpretata come reticolo ricco e variegato di opportunità da accogliere per un più diffuso benessere personale e una più feconda convivenza civile. In tale prospettiva, dovrebbe essere chiara la distinzione degli  ambiti e delle competenze, nel riconoscimento inequivoco dei rispettivi ruoli e responsabilità: di una società civile, ispirata a valori di apertura inclusiva e attenta a iniziative solidali; di istituzioni rappresentative, vocate a garantire l’effettività dei diritti iscritti nella Costituzione, che è patto fondativo di una comune appartenenza allo Stato nazionale.

Ciò renderebbe chiaro che l’adempimento degli “obblighi di giustizia” impone che non “si offra come dono di carità ciò che è dovuto a titolo di giustizia” (Apostolicam Actuositatem, n. 8, lett. e).

E che cosa leggiamo nella Costituzione italiana?  Che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo … e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2); che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge” (art. 3, primo comma); che “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3, secondo comma); che “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto” (art. 4, primo comma).

Ma la garanzia dei diritti ha da tempo anche un prezioso riconoscimento a livello sovranazionale e in particolare nell’ambito dell’Unione Europea (nel rispetto dei cui vincoli è esercitata la postestà legislativa dello Stato e delle Regioni: art. 117, primo comma Cost.), la quale “si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze”(art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, in vigore dal 1° gennaio 2009).

Come noto, i diritti hanno a che fare con la legalità, ossia con la lex, che deriva il suo significato etimologico: sia da ligare, che è capacità di istituire legami, vincoli di appartenenza e relazioni; ma anche da legere, che è raccogliere ciò che è disperso (per orientarlo ad una coesione sociale, in un rapporto di alleanza per una coesistenza pacifica e solidale, nella garanzia dei diritti).

Si comprende allora perché la legalità sia tanto regola quanto relazione: in ogni caso, bene fragile da custodire e da conquistare continuamente; non recinto protettivo, garante della sicurezza interna, ma reticolo inclusivo, capace di accoglienza del valore della persona.

Ed essa non si dà senza una libera scelta di coscienza, che non può mai derivare da un’imposizione temuta, perché essa istituisce non un rapporto di sudditanza, ma una relazione tra chi pone la legge e chi la riceve, che pure ad essa concorre, in un legame di comune appartenenza.

La legalità si promuove allora con la cultura, con l’educazione ad una cittadinanza consapevole e matura, che abbia interiorizzato regole condivise, da osservare così come da applicare: per l’istituzione di un’etica virtuosa dei rapporti.

Qualora sia autenticamente sperimentata, la legalità si declina quale riconquista di spazi di pari opportunità, di trasparenza e di giustizia sociale, per lo sviluppo fecondo di un’esistenza umanamente dignitosa: nello spirito della Costituzione, della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’Onu, della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (la cosiddetta “Carta di Nizza”, che li aggrega sotto i titoli della dignità, della libertà, dell’uguaglianza, della solidarietà, della cittadinanza e della giustizia: senza operare tuttavia alcun bilanciamento tra i diversi valori o interessi).

I diritti hanno a che fare naturalmente anche con la giustizia, ossia con lo ius, che ha piena dignità di valore ed è prospettiva di meta mai raggiunta. La giustizia si declina allora come l’ambito del fare, dell’impegno per l’inveramento effettivo dei diritti riconosciuti e dei principi proclamati.

Non è soltanto mezzo dell’agire, come la legalità, ma bene finale: come è proprio di ogni valore, che è fine a se stesso, in sé contenendo l’autorizzazione all’azione o al giudizio diretto al risultato, senza un preventivo criterio di legittimità. E pertanto meta da perseguire, nella ricerca continua del bene comune, che ne riveli l’autentico significato di custodia di un valore in sé.

Finalmente si comprende come la tutela dei diritti fondamentali si esprima nell’amministrazione della giustizia, che è compito istituzionale di pochi e di cui lo Stato deve curare l’efficienza per garantirne l’effettività, ma soprattutto nelle azioni di giustizia, praticabili da tutti, in favore dei più deboli e che  rivelano la verità dell’uomo e la qualità della convivenza civile.

Sempre la Costituzione avverte che il riconoscimento e la garanzia de“i diritti inviolabili dell’uomo” è impegno della Repubblica in suo favore non soltanto “come singolo”, ma anche “nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” (art. 2). Oggi purtroppo sfiorite e quasi venute meno nelle tradizionali forme di libera associazione in sindacati e partiti per un’attiva partecipazione alla dinamica sociale e politica della vita del Paese (artt. 39 e 49 Cost.), esse restano luogo inalienabile di confronto dialogico, che è respiro dell’uomo da custodire e di elaborazione progettuale e coesione sociale, di costruzione per l’uomo.

È questo lo spazio della filantropia, oggi declinabile come volontariato: autentico vanto nazionale e fenomeno imponente, in aumento esponenziale (6,9% della popolazione nel 1993, 10% nel 2011), che, secondo i dati Istat 2014, conta su oltre 6,5 milioni di persone che prestano attività di servizio (e più di 4 milioni all’interno di organizzazioni), in misura pari al 12,6% della popolazione.

Ma il volontariato non è solo espressione di solidarietà umana e sociale, tessitura di reti di collaborazione non competitiva, apertura all’ascolto dei bisogni, progettualità concreta di azioni di giustizia per la riaffermazione del valore di ogni persona, che è nodo di relazioni.

Esso è anche partecipazione attiva alla vita della polis, connotazione significativa della fisionomia di una società, da valorizzare come forza politica di partecipazione dal basso, il cui compito è proprio per questo anche politico: di promozione, attraverso iniziative concrete di solidarietà, di una cultura di responsabilità sobria, di intervento competente, di apertura solidale e di inclusione sociale. Ed è impegno lungimirante di educazione ad una mentalità nuova, che non attenda solo risposte da altri, ma che induca ciascuno, per ciò che può e sa, a “mettersi in gioco” per il benessere proprio e di tutti.

Qui deve allora essere individuato il delicato, ma fondamentale punto di equilibrio tra l’ambito dei compiti di sensibilizzazione formativa e di promozione umana del volontariato, nella libera ed autonoma iniziativa dei cittadini e l’ambito dei doveri ineludibili di assicurazione dei servizi fondamentali, propri di un Paese civile e di garanzia dei diritti inalienabili della persona, a carico indelegabile delle istituzioni.

E questa composizione si rinviene nel principio di sussidiarietà, anch’esso custodito con gli altri valori dallo scrigno prezioso della Costituzione, secondo cui:“Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività d’interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà” (art. 118, ultimo comma).

Esso è inverato dall’esercizio di un diritto di cittadinanza e dall’adempimento di un impegno civile, che siano collaborazione proficua dei privati con le istituzioni pubbliche: nella tensione ad una reciproca responsabilizzazione rispettosa dei rispettivi spazi e ruoli, senza sostituzioni indebite dei primi in quelli che sono, e devono rimanere, compiti pubblici di garanzia; a cominciare da quei livelli essenziali di assistenza sociale (LIVEAS), pre-condizioni per l’effettività dei diritti dei soggetti più deboli.

Tutti siamo allora sollecitati ad un percorso di educazione, che conduca a un’integrazione reciproca intelligente. Solo attraverso una cooperazione solidale può essere esperita la consapevolezza di una comunanza dei beni essenziali: di nessuno in via esclusiva, perchè non concepibili secondo una logica mercantile, tanto meno ad essa assoggettabili.

Essi costituiscono piuttosto beni comuni da custodire e da regolare per consentirne, non già la proprietà, che è sempre di qualcuno, ma un accesso aperto a tutti e a ciascuno.

 

Filantropia e riconoscimento dei diritti fa parte di un ciclo di riflessioni che proseguiranno nelle prossime settimane. Eccone il filo conduttore.

 

Portare argomenti, affrontando temi sociali e pubblici riconoscendo la parzialità delle nostre motivazioni, opinioni o percezioni personali.

Contrastare la nostra ignoranza, concedendoci il tempo di conoscere e far conoscere i temi che ci stanno a cuore.

Prestare attenzione ai contenuti, riconoscendo le forme di mistificazione che possono nascondersi dietro una efficace abilità di comunicazione.

Comprendere la complessità andando oltre le generalizzazioni, attraverso l’informazione, l’attenzione e l’empatia.

Non confondere la filantropia con il riconoscimento dei diritti, tenendo ben distinto il sentimento di solidarietà dagli strumenti necessari a ottemperare ai Principi costituzionali.

Non tirare nel mucchio. A partire dai discorsi e dai facili bersagli che affollano ogni canale di comunicazione, siamo chiamati a contrastare una tendenza culturale che oggi rappresenta il terreno sempre più fertile per forme di violenza che vanno ben al di là delle parole.



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