Giornata mondiale dei diritti umani: Una telefonata ti allunga la vita

Giornata mondiale dei diritti umani: Una telefonata ti allunga la vita

10 dicembre: Giornata Mondiale dei Diritti Umani

UNA TELEFONATA TI ALLUNGA LA VITA

Correva l’anno 1993 quando nella pubblicità di una azienda telefonica un Massimo Lopez condannato alla fucilazione cercava di procrastinare la sua fine con una lunghissima telefonata.

Il claim di quella campagna ben descriveva l’importanza vitale di poter rimanere in contatto con chi amiamo, ed oggi non ci ragioniamo neppure più, abituati come siamo a comunicare, in modo più o meno fatuo, continuamente tramite una molteplicità di strumenti.

Ce ne siamo ricordati per un attimo lo scorso anno, colpiti dalle cronache o dalla esperienza diretta degli anziani residenti negli ospizi o dei malati moribondi in ospedale che, improvvisamente strappati ai propri affetti, erano schiavi non solo degli antibiotici e dell’ossigeno ma anche della disponibilità di un infermiere che li aiutasse a fare una telefonata o, nel migliore dei casi, una videochiamata con i propri cari. Forse per l’ultima volta.

Ci è sembrato straziante e forse disumano ma capivamo l’eccezionalità di una situazione calmatasi la quale non abbiamo più accettato simili modalità e abbiamo voluto, per quanto possibile. un ritorno alla normalità.

 

Vi sono, però, luoghi nelle nostre città ove tale eccezionalità è la regola. Sono le carceri: servizi pubblici pagati con denaro pubblico che dovrebbero lavorare, secondo la Costituzione e le aspettative dei contribuenti, per la rieducazione di chi è stato condannato per aver compiuto dei reati e che, per vari motivi (non ultimo la povertà che non consente di avere un domicilio o mezzi di sostentamento) non possono accedere a misure alternative alla detenzione.

Il carcere è pieno di uomini e donne che, per renderli migliori, sono tenuti in cattività in strette camere con letti multipli nelle quali devono permanere per la stragrande maggioranza del tempo e spesso per anni, con privazione non solo di libertà ma, per dirne alcune, di luce naturale, di spazio e tempo personale, di possibilità di lavoro riconosciuto come tale a tutti gli effetti (avrete letto delle battaglie giudiziarie per avere il riconoscimento dell’indennità di disoccupazione per i detenuti negata dall’Inps con la motivazione che quello in carcere non è vero lavoro).

In questo quadro desolante i rapporti con la famiglia e con gli amici potrebbero essere un buon antidoto all’abbrutimento e alla disperazione. Immaginate per un attimo quale potrebbe essere il vostro stato d’animo nel sapere che un vostro parente è malato e voi non potete essere al suo fianco. Oppure un vostro figlio ha un problema e voi non potete essere lì con lui per ragionarci. A tua figlia o a tua moglie si sono rotte le acque e sta andando in ospedale per partorire e tu non puoi essere al suo fianco (anche se poi svieni se la vedi soffrire per le doglie). In famiglia ci sono sempre decisioni da prendere e voi non potete sedervi al tavolo e discuterne tutti insieme con calma. Sembra di impazzire, vero?

Allora ecco che, di nuovo… una telefonata forse allunga la vita e certamente la rende migliore!

L’unico problema è che in Italia una persona detenuta, nel 2021, può fare (pagando! come diciamo a Genova)… una sola telefonata a settimana della durata massima di dieci minuti, salvo rari casi in cui ne è concessa, più o meno arbitrariamente, qualcuna in più. Telefonata solo alla famiglia, rarissimamente a terze persone significative, ché significativo non si sa bene cosa vuol dire.

No mail, no sms, no internet (messenger, whatsapp, telegram, ecc…). Solo da pochi anni si può telefonare ai cellulari ma solo se non si hanno colloqui fisici con i parenti. Sì telegrammi (ma quanto mi costi?) e lettere (ma quando mi arrivi?), sì fax (ma non ho mai sentito di qualcuno che ne abbia spedito o ricevuto). No telefonate dall’esterno all’interno, ovviamente, ché siamo in galera e non in un albergo con reception h24.

Non stupisce che uno dei più frequenti problemi di sicurezza in carcere sia il fatto che i detenuti riescono con sotterfugi vari a farsi portare dall’esterno dei telefoni cellulari (oggetti proibitissimi) con i quali, è documentato, parlano generalmente alla famiglia. Questo, naturalmente, è un reato per il quale sono state recentemente inasprite enormemente le pene su suggerimento della passata dirigenza dell’amministrazione penitenziaria (quelli che a Santa Maria Capua a Vetere era tutto ok, vi ricordate?).

Partendo dall’esempio semplice delle telefonate lascio immaginare a chi legge, con un piccolo sforzo deduttivo, quale sia il vero (non quello teorico scritto nella legge e nei documenti ufficiali) livello di tutela e promozione dei diritti umani nelle nostre carceri, interrogandomi su quanto ciò influisca sulla tradizionalmente pessima performance dell’amministrazione penitenziaria del nostro Paese, che vede tassi di recidiva di oltre l’80 % in chi non accede alle misure alternative.

Non voglio, però, far credere che la materia sia semplice. Anzi, invito chi volesse approfondirla a leggere, per esempio, il bel libro uscito da poche settimane curato da Roberto Bezzi e Francesca Oggionni “Educazione in carcere. Sguardi sulla complessità” e presentato in un webinar del progetto “A scuola di libertà” promosso dalla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia.

Convinto che la promozione dei diritti umani sia la strada principale per rendere il carcere sempre meno indispensabile al nostro Paese.

 

Gabriele Sorrenti

Counselor specializzato in problemi alcol-giustizia correlati



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