500 anni da una gamba rotta!

500 anni da una gamba rotta!

500 anni da una gamba rotta!

 

Leggendo l’Autobiografia (Aut) di S. Ignazio di Loyola, emerge la sua personalità complessa, che unisce ciò che è più strettamente legato alla dimensione spirituale con un’azione sociale efficace e concreta. Riguardo a quest’ultima, tutto inizia con il rapporto che Ignazio ebbe con la povertà e con i poveri. La fonte di ispirazione è san Francesco, ma vissuta come competizione (voleva essere più povero) e come reazione alla vita passata (Aut 7). Ignazio era un nobile; aveva denaro, prestigio; amava curarsi nel vestiario e nei modi, perché gli piaceva la vita di corte. Dopo la conversione, decide di vivere l’estremo opposto: non si cura più nell’aspetto, vestendosi con abiti logori e lasciandosi crescere capelli e unghie; va in giro a mendicare cibo e denaro per il necessario (Aut 16; 19). La motivazione, legata al suo bisogno di cambiare vita e di fare penitenza per quella passata, contiene anche un desiderio buono, ossia vivere condizioni estreme, per essere più vicino alla condizione dei poveri e, nel caso, aiutare chi ha più bisogno.

Così, ad esempio, dà tutti i beni, anche quelli che ogni giorno riceve in elemosina per le necessità di base; commette errori di ingenuità, come quando dà i suoi vestiti a un povero e lo mette in difficoltà, perché le guardie credono che li abbia rubati (Aut 18). In fondo, fa ancora fatica a riconoscersi anche lui come bisognoso. Quando matura l’esigenza di studiare, per poter meglio aiutare le persone, sceglie ancora una volta uno stile estremo, abitando negli ospedali dei poveri e passando parte della giornata a chiedere l’elemosina.

Col tempo, Ignazio matura e sviluppa un altro modo per aiutare le anime, espressione che riassume il desiderio centrale della sua vita: aiutare le persone lì dove si trovano, riconoscendo la loro dignità e preziosità. In questo sentire rientra tanto l’aiuto vocazionale in senso stretto, quanto quello del recupero della persona che si trova in condizioni di miseria e di disagio sociale di vario tipo. Un aspetto interessante è come procede per coinvolgere le Istituzioni e altri volontari in queste opere, per fondarle e dare una mano di aiuto nella concreta gestione. Non si pone come leader indiscusso, ma forma altri che portino avanti l’impegno. Nel concreto, dà vita a un modo di procedere, ancora attuale: individuazione chiara dei problemi; sensibilizzare l’ambiente sociale; erigere Istituzioni ad hoc; coinvolgere altre persone che finanzino e dirigano; raggruppare benefattori e operatori in confraternite o organizzazioni, dotate di regole. Dunque, a differenza dei primi tempi, si impegna non tanto ad appoggiare gli assistiti (come quando, ad esempio, dava beni materiali), ma a formare coloro che assistono, perché a loro volta possano coinvolgere altri nel servizio. Si interessa, ad esempio, che la pubblica amministrazione, nella sua terra di origine, provveda con sussidi regolari ai poveri (Aut 89). Oppure, per citare un altro esempio, a Roma fonda l’opera pia “Santa Marta”, che accoglie le cosiddette “donne malmaritate” e quelle in difficoltà perché pubblicamente riprovate in quanto peccatrici (Aut 98).

 

In questa sensibilità verso la persona e in questo modo di procedere, c’è molto dello stile che da anni caratterizza San Marcellino: lavoro di équipe; attenzione non primaria per i bisogni materiali, bensì per la “formazione” della persona di strada, aiutandola a ritrovare una propria dignità e un orizzonte concreto di vita possibile.

p. Agostino Caletti



CENTRO DI ASCOLTO

Piazza San Marcellino, 1 - 16124 Genova
T. +39.010.2465400
Aperto lun-mar e gio-ven, dalle 9 alle 12