🗓️ 1 Gennaio, Giornata Mondiale della Pace

"La guerra è sempre una sconfitta!" (papa Francesco)

🗓️ 1 Gennaio, Giornata Mondiale della Pace

1 Gennaio – Giornata Mondiale della Pace

In occasione della Giornata della Pace vi proponiamo un breve estratto di un’intervista a Bertrand Badie, “Inventare una grammatica dell’indipendenza globale”, docente di Relazioni internazionali Centre d’études et de recherches internationales, Sciences Po (Parigi), a cura di François Euvé SJ, Direttore della rivista Études, uscita nel numero di dicembre di Aggiornamenti Sociali (https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/inventare-una-grammatica-dellinterdipendenza-globale/).
Essere costruttori di pace in un mondo dove la forza ed i conflitti prendono sempre più campo necessita l’apertura verso una comprensione che coltivi un pensiero complesso. Nell’intervista Bertrand Badie osserva di come oggi “il sociale corra più velocemente del politico” e di come il fattore umano, giochi di conseguenza, un ruolo crescente sia nello stabilire legami di fraternità, sia nel distruggerli. Inoltre forte di un’esperienza e di un percorso personale insolito dove ha dovuto fare i conti con un’eredità biculturale, persiana e francese, invita a misurarsi con il fatto che “otto miliardi di esseri umani non condividono gli stessi sistemi di comprensione e che per questo l’atto di pace più importante è innanzitutto capire l’altro, che non significa approvarlo ma innanzitutto decifrarlo”.



Esistono organismi globali che dovrebbero regolare il multilateralismo.  Che cosa pensa del loro ruolo e del modo in cui operano?

Il multilateralismo è stato inventato per affrontare queste sfide e costruire la sicurezza globale. La sua preistoria risale alla metà del XIX secolo, quando i cambiamenti tecnologici e i miglioramenti nei trasporti, in particolare quelli marittimi, ebbero conseguenze potenzialmente problematiche per la circolazione delle merci (la diffusione delle malattie, ad esempio).  È interessante notare che è stato il rischio sanitario globale a ispirare le prime convenzioni internazionali.  Gli Stati presero tempo, ma alla fine furono coinvolti in un processo che portò alla creazione dell’Ufficio internazionale di igiene pubblica (OIHP) nel 1907.  Ci volle la grande paura della Prima guerra mondiale per sistematizzare questa invenzione attraverso la creazione della Società delle Nazioni, e poi la paura suscitata dalla guerra successiva per dare vita all’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU).  Ma, paradossalmente, questo multilateralismo è stato creato su base strettamente interstatale.  Persino la Carta di San Francisco, che istituisce le Nazioni Unite, legalizza la forza dando agli Stati più potenti un diritto di veto, che consente loro di opporsi alle decisioni della maggioranza se vanno contro i loro interessi.  Da qui la natura imperfetta, quasi abortita, del multilateralismo, ucciso sul nascere dalla conferma delle vecchie logiche di potere. Questo non sfuggì a quel grande uomo che fu Kofi Annan, Segretario generale dell’ONU dal 1997 al 2006, e al suo predecessore Boutros Boutros-Ghali (1992-1996), che ebbe le stesse intuizioni.  Entrambi avevano capito chiaramente che il futuro del pianeta risiedeva nella tutela del suo carattere globale, come dimostrato dalla famosa Dichiarazione del Millennio (2000) e dalla formulazione degli Obiettivi di sviluppo del millennio che l’hanno immediatamente seguita.  Annan ha avuto una seconda intuizione: finché il multilateralismo si reggerà sugli Stati, non saremo in grado di affrontare efficacemente queste sfide globali.  Per questo motivo ha esaltato l’utilità di quello che ha definito multilateralismo “sociale” o “complesso”, per designare quelle istituzioni all’interno delle Nazioni Unite specializzate nel soddisfare i bisogni sociali propri di tutta l’umanità, che trascendono la volontà degli Stati.

Se guardiamo a organizzazioni come il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP), il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF), l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) e il Programma alimentare mondiale (PAM, che ha ricevuto un meritato Premio Nobel per la pace nel 2020), vediamo in esse la realizzazione di una scommessa che ha senso ancora oggi.  Abbiamo più possibilità di rovesciare la sovranità egoistica dei singoli Stati se partiamo dai bisogni dell’umanità e lavoriamo per trovare soluzioni, invece di andare nella direzione opposta.  Quando il PAM esamina le situazioni di crisi alimentare, non procede sulla base delle politiche dei singoli Paesi.  Identifica i bisogni urgenti dell’umanità nel suo complesso.  Credo che questo sia l’approccio giusto e che dimostri che il multilateralismo non è del tutto perduto: queste istituzioni sociali possono rispondere a questi bisogni sistemici, che sono ormai cruciali. L’importante rapporto dell’UNDP del 1994 sulla sicurezza umana è una sorta di manifesto [New Dimensions of Human Security, in <https://hdr.undp.org/ content/human-development-report-1994>, N.d.R.].

Diverse persone hanno svolto un ruolo fondamentale nel dare forma a questo multilateralismo sociale, come i due Segretari generali già citati o coloro che hanno diretto e presieduto le grandi commissioni istituite negli anni ’90, che hanno svolto un notevole lavoro di immaginazione istituzionale.  Dobbiamo a loro la consapevolezza di questi grandi problemi.

Per secoli, le relazioni internazionali sono state totalmente ipotecate da un approccio più meccanico che umano.  La globalizzazione e la decolonizzazione ci hanno già costretto a riumanizzarle. Purtroppo, ciò è avvenuto spesso nel modo peggiore possibile, con violenza, ribellione, rabbia e, soprattutto, sofferenza.  Ero solito dire ai miei studenti che le relazioni internazionali sono la scienza della sofferenza umana su scala globale.  Sono i vincoli posti ai ricchi e ai potenti dalla sofferenza umana che hanno innescato la riumanizzazione delle relazioni internazionali, alla quale i grandi del mondo hanno dovuto acconsentire, anche se in modo incompleto.




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